Estranei (All of Us Strangers) è appena uscito in Italia ma è già uno dei film più tristi del 2024. Lo è perché ci obbliga a confrontarci con una condizione tanto comune quanto tabù nella società odierna: quella della solitudine.
Liberamente tratto dal romanzo omonimo di Taichi Yamada (1987) e distribuito da Searchlight Pictures, Estranei è un film essenziale (qualcuno potrebbe dire lento?) ma efficace e, a suo modo, universale.
Di cosa parla Estranei?
Adam (Andrew Scott) è uno sceneggiatore che vive in un condominio nuovo e semi-disabitato a nord di Londra. Chiuso nella sua solitudine, si trascina attraverso giornate tutte uguali nell’afosa e densa aria estiva, il cui silenzio è interrotto solo dai rumori meccanici degli elettrodomestici, degli ascensori, del traffico. Un silenzio che farebbe impazzire chiunque, soprattutto Harry (Paul Mescal) – l’unico altro inquilino presente nel palazzo -, che una sera si presenta alla porta di Adam per chiedergli compagnia.
È così che per Adam comincia un periodo in cui la solitudine si fa da parte per lasciare spazio all’umanità, alla memoria, ai traumi che non ha mai superato.
Un film introspettivo
Quello di Estranei è un cinema intimista e introspettivo, che segue la scia di diverse pellicole uscite negli ultimi mesi. Un cinema in cui il focus narrativo e simbolico non è nell’azione ma nella sensazione, nello scavare dentro i personaggi e, di conseguenza, nello spettatore.
Tutto quello che succede è un riflesso dell’interiorità del protagonista, da cui non riusciamo mai a uscire e che spesso ci confonde: cosa è vero e cosa no? Dov’è il limite fra mente, memoria e realtà? Ma anche: esiste davvero questo limite?
Estranei?
Quello che ci dice Estranei è che alcuni ricordi possono diventare così veri e pervasivi da farsi spazio prepotentemente nel nostro quotidiano, fino a dominarlo o addirittura manipolarlo. È il dramma dei traumi irrisolti, dei nodi di dolore che lasciamo intrecciare finché non siamo più in grado di scioglierli, di tutto quello che ci tormenta e continuerà a farlo finché non riusciremo a scendere a patti con la consapevolezza che, alla fine, non possiamo mai scappare da noi stessi.
Così Adam vaga in un limbo di solitudine, rimpianti e ricordi. È un uomo condannato rivivere il dolore finché non sarà pronto ad affrontarlo ma, soprattutto, a condividerlo. Ecco che ci scopriamo estranei non solo per le altre persone, ma anche per noi stessi se non troviamo il coraggio di esplorarci a fondo. Ed è proprio quello che succede al protagonista, che si rifugia in un guscio di solitudine per non doversi raccontare e, dunque, non doversi guardare.
I luoghi di Estranei
Il senso più profondo di Estranei si manifesta anche nei suoi ambienti: il film si sviluppa quasi interamente in luoghi chiusi, che schermano i personaggi dal mondo esterno. Questo senso di isolamento viene poi accentuato dalle inquadrature ravvicinate, dai primi e primissimi piani, dalle atmosfere buie e tagliate dalle ombre che, letteralmente e metaforicamente, si abbattono sui personaggi.
Quello in cui si svolge la storia è un non-luogo, una dimensione sospesa in cui il tempo è subordinato alla percezione. Come se i personaggi fossero intrappolati in un interminabile momento di transizione.
Alla fine cosa resta?
Nonostante tutto, Estranei è un film capace di lasciare lo spettatore con uno straniante senso di speranza. Al dolore si mischia la dolcezza, i ricordi traumatici si fondono con le memorie più rincuoranti, all’isolamento viene voglia di rispondere con la ricerca di contatto umano.
Quello che resta dopo la visione è un senso di rassegnazione e sollievo tanto specifico quanto universale, che trascende le esperienze singole e colpisce il senso stesso della nostra umanità.