Su Netflix è finalmente uscita la quarta (e ultima) stagione di Sex Education. A prescindere dal giudizio sulla serie, le possiamo già riconoscere un grande merito: si è fermata quando doveva farlo. A differenza di altri prodotti che vengono trascinati e spremuti fino a perdere ogni senso, Sex Education ha chiuso la sua storia nel momento in cui doveva farlo.
Di cosa parla la quarta stagione di Sex Education?
Dopo la chiusura del loro liceo, Otis, Eric e altri studenti vengono trasferiti al Cavendish Sixth Form College.
Se Moordale sembrava all’avanguardia in termini di inclusività, Cavendish viaggia nel futuro: è una scuola colorata, sostenibile, praticamente autogestita, in cui ogni attività è organizzata dagli studenti stessi. Non solo: è anche una scuola in cui i ragazzi più popolari sono tali perché gentili e inclusivi – e sono proprio gentilezza e positività i valori dominanti fra gli studenti. Ma è davvero tutto così perfetto?
Come ne parla?
Si intuiva già dai trailer, ma queste nuove 8 puntate l’hanno confermato: Sex Education non ha perso la sua identità. Anzi, l’ha arricchita.
Sin dalla prima stagione ci aveva abituati a un tono di voce e uno stile molto caratteristici – non solo espliciti e senza tabù, ma freschi e leggeri anche nell’affrontare temi delicati. E se progressivamente le tematiche sono diventate sempre più serie, importanti e attuali, il tono di voce è rimasto sempre lo stesso senza snaturarsi. Non è facile parlare con leggerezza di sesso, identità di genere, depressione, disabilità e addirittura religione, ma Sex Education è sempre riuscita a farlo – e non ha fallito neanche stavolta.
È vero che, soprattutto nell’ultima stagione, talvolta la linea fra cliché accidentale e consapevole si sfuma, lasciando allo spettatore la sensazione di trovarsi di fronte a una parodia. Tuttavia, basta dare un po’ di fiducia per scoprire che in questa serie nulla è lasciato al caso: personaggi che sembravano piatti e stereotipati, si sono rivelati persone a tutto tondo.
Moordale vs Cavendish
In questa stagione più che mai le complessità dei personaggi diventano centrali per la narrazione: l’intera storia si sviluppa intorno al contrasto fra gli studenti di Moordale e quelli di Cavendish. I primi, che nelle stagioni precedenti apparivano giovani e progressisti, nel confronto risultano quasi retrogradi (inteso come all’antica, non come Mercurio). Allo stesso modo, degli inclusivi studenti di Cavendish emergono la superficialità e la positività esasperata.
Una delle grandi critiche di questa stagione di Sex Education è proprio quella alla toxic positivity, al bisogno di essere sempre giusti, perfetti, buoni rifiutando ogni emozione negativa. Mentre a volte stare male è necessario tanto quanto stare bene. Un aspetto che risulta un po’ stucchevole e forse poco in linea con questo messaggio è il fatto che, alla fine, non resti neanche un personaggio negativo: sarebbe stata interessante anche una lettura leggermente più cinica.
Un altro difetto di questa stagione è che apre forse troppe linee narrative per via della gran quantità di personaggi vecchi e nuovi. Il problema è che, come è normale che sia, alcune vengono trattate con forse troppa superficialità, mentre altre sono approfondite con grande cura. Certo, è fisiologico quando devi mantenere trentadue narrazioni parallele, ma forse sarebbe stato meglio tagliarne qualcuna e piuttosto rinunciare a toccare alcuni temi secondari.
I personaggi
Fra le linee narrative da non tagliare assolutamente c’è quella di Jean: un personaggio che abbiamo visto quasi sempre in controllo, forte (a volte fin troppo) e stabile, crolla sotto il peso della maternità. Raramente sentiamo parlare di depressione postpartum (o anche solo della difficoltà nel gestire la vita con un neonato) nei prodotti seriali, soprattutto comici. Qui invece se ne parla eccome, con delicatezza e leggerezza ma senza edulcorare nulla.
Due personaggi che invece funzionano meno, per ragioni diverse, sono quello interpretato da Hannah Gadsby – terribilmente stereotipato e poco funzionale – e, purtroppo, Maeve. Sembra che quest’ultima, fra tutti, sia l’unica a non essersi evoluta abbastanza, nonostante sia una figura centrale della serie. Sembra quasi che il trasferimento negli USA (ndr quanto vedo un college americano non posso fare a meno di pensare a Rory Gilmore, ma questo è un mio limite) sia una scusa per sviluppare meno il personaggio.
Ma quindi è bella?
Nonostante i difetti, però, questa quarta stagione di Sex Education fa proprio quello che dovrebbe: chiudere una serie innovativa e molto amata nel modo migliore possibile (e prima di rovinarla). Alla fine, sembra proprio di prendere per mano i protagonisti a cui ci siamo affezionati e accompagnarli verso la loro vita dopo il liceo.
C’è una cosa che ti fa capire se una serie è riuscita. Ovvero se, finita l’ultima puntata, ti viene subito voglia di ricominciarla dalla prima stagione. Con Sex Education succede.