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Saltburn: un film al contrario – Recensione

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Per settimane ho avuto i social invasi dalle reaction oltreoceano a Saltburn: persone sconvolte, traumatizzate, imbarazzate da un film che già dal trailer si prefigurava controverso. Con la sua uscita su Prime Video, e memore di questi video, mi sono approcciata alla visione pronta a due ore tipo quella scena della pesca in Call Me By Your Name. Insomma, ero preparata per un film esplicito, ma non per un livello di crudeltà e violenza così viscerali, profonde e disturbanti.

Certo, se poi pensi che la mano alla regia è quella di Emerald Fennell, già regista di Una donna promettente, lo stupore passa. E proprio come in Una donna promettente, qui assistiamo a un thriller spietato ma con un’estetica patinata e contemporanea. Saltburn è una storia di ingiustizie, di ineguaglianze, di disparità di classe, ma anche di sesso, di giochi di potere, di vendetta. È una storia che ci costringe a fare i conti con le nostre idee di giusto e sbagliato.

Mi sono chiesta perché questo film sia così disturbante.

Una classica commedia?

Innanzitutto, Saltburn prende la struttura di una classica commedia ambientata al college e la stravolge. Ne ribalta i toni, le vicende, l’estetica: la incupisce e appesantisce, ma non dimentica di far riemergere la leggerezza quando meno te lo aspetti – accentuando il senso di spaesamento che accompagna l’intera visione. 

Allo stesso modo, prende i concetti di sacro e profano per mischiarli, confonderli, invertirli fino a renderli irriconoscibili e indistinguibili. Fino al punto in cui la carne diventa anima e l’anima diventa carne.

Sei quello che fai. O no?

Ancora più profondamente, Saltburn gira intorno a quella domanda a cui tutti cerchiamo di rispondere, pur senza rendercene conto: è quello che facciamo che definisce chi siamo, o viceversa?

Sembra che in un mondo come quello dei college inglesi, fulgido esempio dell’ossessione britannica per la distinzione di classe e i titoli nobiliari, sia ciò che sei, inteso come il nome che porti, a definire quello che fai – o che puoi fare. E ancora una volta il cinema ci restituisce un ritratto spietato delle università britanniche e dei loro ambienti marci, alienanti, intrisi di classismo e nepotismo.

Tuttavia Saltburn non è certo un compitino contro lo snobismo dell’aristocrazia ed è proprio qui che sta la forza del film. Da un lato veniamo messi di fronte all’ipocrisia di classe, a una generazione di nobili che giocano a fare i poveri, a una ricchezza sfrenata e dissoluta che imbarazza col suo essere completamente fuori dal tempo. Dall’altro lato, però, non possiamo che subire il fascino di queste persone, di questi ambienti così lontani da noi – così il nostro senso di superiorità morale si infrange contro il desiderio di vivere anche per un secondo quella vita.

Cosa ci disturba davvero in Saltburn?

Ma in fondo, nel cuore del film, cos’è che inconsciamente troviamo davvero dissonante? Il punto di vista. Per decenni il cinema ci ha abituati a interiorizzare una netta distinzione fra soggetto e oggetto dello sguardo, che si riflette in una distinzione fra maschile e femminile, ricco e povero, potenti e sottomessi.

Saltburn prende un soggetto e lo trasforma in oggetto, prende il corpo maschile e lo priva della sua componente attiva per metterlo a nudo (anche letteralmente). Prende un uomo e gli lascia solo il corpo come arma in un contesto che vorrebbe relegarlo al ruolo che gli è stato assegnato. Ecco che il corpo e l’aspetto diventano merce di scambio per ottenere un riconoscimento, per non tornare nell’ombra della subordinazione. Sesso e potere si intrecciano, ma se dalla rappresentazione di un uomo ci aspetteremmo lo sfruttamento del secondo per ottenere il primo, qui avviene in contrario: il protagonista baratta il sesso per l’avanzamento sociale che tanto agogna. 

Jacob Elordi funziona in Saltburn?

Il ribaltamento della prospettiva passa anche, forse soprattutto, dalle scelte di cast. Jacob Elordi ha un fisico imponente, atletico, in linea con gli standard maschili, ma non solo: è anche un attore divenuto famoso aver interpretato un personaggio (quello di Nate Jacobs in Euphoria) che incarna l’essenza della mascolinità tossica. Ed è questo nostro costrutto interiorizzato che viene messo in crisi quando la prestanza di Elordi, che sembra inizialmente sovrastare la fisicità di Barry Keoghan, presto rivela l’illusione dell’apparenza.

Infatti presto scopriamo che i ruoli di potere e di controllo sono ribaltati rispetto alle nostre aspettative: è Oliver (Keoghan) ad avere in mano la situazione ed è Felix (Elordi) quello fragile, ingenuo e forse un po’ stupido. Una dinamica che ricorda quella de Il talento di Mr. Ripley, ma che ha un significato più profondo se inserita nel contesto socio-culturale del film.

Perché dovreste guardare Saltburn?

Saltburn non è solo un film con qualche scena scandalosa, è una riflessione profonda e scomoda sulle ipocrisie della nostra società. È un film diverso, intelligente e con un’estetica sublime.

Esce il 22 dicembre su Prime Video, non avete scuse per non vederlo. 

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